INTELLIGENZA ARTIFICIALE NELLA MODA: ALLEATA CREATIVA O MINACCIA PER IL DESIGN?
Team ISSUE - Marzo 26th, 2025
Un abito che non è mai stato cucito, ma ha sfilato a Milano. Una modella che non esiste, ma conta già 237.000 follower su Instagram. L’intelligenza artificiale (IA) ha fatto il suo ingresso nell’industria della moda con una forza dirompente, ridefinendo ogni aspetto: dal design alla produzione, fino al marketing. Secondo dati pubblicati da McKinsey, l’85% delle aziende del settore ha integrato l’IA nei propri processi entro il 2024, in un mercato che si stima raggiungerà i 4,4 miliardi di dollari entro il 2027. Ma questo progresso tecnologico solleva una domanda fondamentale: l’IA è uno strumento creativo senza precedenti o una minaccia per l’anima umana del design?
L’impatto è tangibile. Marchi come Tommy Hilfiger e Prada utilizzano già algoritmi per sviluppare collezioni in tempi record, mentre la startup Viseversa ha creato una capsule di denim in soli 21 giorni, un processo che normalmente richiederebbe mesi.
“L’IA può analizzare milioni di immagini storiche, tendenze social e dati di vendita per suggerire design con alta probabilità di successo”, spiega Inés Poggio, esperta in tecnologia applicata alla moda.
L’efficienza è innegabile: aziende come Lectra usano IA per ottimizzare il taglio dei tessuti, riducendo gli sprechi del 30%, mentre Zara ha aumentato le vendite tra il 10% e il 20% grazie alla personalizzazione guidata da algoritmi, secondo il Boston Consulting Group.
Ma se l’IA genera proposte basate su dati e pattern preesistenti, i direttori creativi delle grandi maison difendono quell’intangibile che nessun algoritmo può replicare: la scintilla dell’imprevedibile. Cosa distingue un abito progettato da un software da una creazione firmata Maria Grazia Chiuri (Dior) o Demna (Balenciaga)? La risposta è nella narrazione emotiva.
Quando Daniel Roseberry costruisce una collezione per Schiaparelli, non si limita a combinare tessuti e silhouette: intreccia storie, provocazioni e riferimenti culturali. L’IA, al contrario, si muove nel campo della probabilità: può suggerire i colori più venduti o replicare un taglio di successo, ma non può sognare ad occhi aperti. Alla fine, la tecnologia è solo una cassetta degli attrezzi: l’innovazione autentica continua a profumare di schizzi a matita, rischi calcolati e intuizioni non programmabili.
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Anche il fenomeno delle modelle virtuali sta crescendo. Shudu Gram, la prima modella digitale, collabora con maison come Balmain, mentre la londinese Alexsandrah Gondora utilizza un avatar digitale per moltiplicare le sue campagne senza spostarsi fisicamente. “Il mio avatar lavora al posto mio”, afferma. I benefici economici sono evidenti: un servizio fotografico sulle Alpi, che costerebbe 35.000 euro, si riduce a 500 euro grazie alla tecnologia di Genera Tech.
Tuttavia, la questione etica è al centro del dibattito: il 73% delle immagini generate da IA riproduce stereotipi estetici occidentali, secondo diversi studi, e città come New York hanno già avviato una legislazione per tutelare i diritti delle modelle reali contro le loro controparti digitali.
Il settore si trova a un bivio. Da un lato, l’IA permette di ridurre del 50% l’eccesso di inventario e offre esperienze iper-personalizzate (come le prove virtuali di Zalando, che aumentano le conversioni del 40%). Dall’altro, analisi di Forrester prevedono che il 23% delle mansioni legate al design possa essere automatizzato, alimentando il timore di una perdita di autenticità.
“L’IA è un pennello, non un artista”, afferma Kim Han-kook, direttore creativo di Gentle Monster, brand che integra algoritmi e artigianalità.
La chiave, forse, sta nella collaborazione. Come dimostra Moncler in una delle sue recenti campagne sviluppate con Maison Meta, l’IA può espandere i confini della creatività, ma il tocco umano resta insostituibile. Un sondaggio di Vogue Business lo conferma: il 61% dei consumatori sarebbe disposto ad acquistare capi creati con IA, ma solo se conservano quella “essenza unica” che, per ora, solo i designer in carne e ossa sanno trasmettere.
La moda del futuro sarà una danza tra bit e neuroni, dove il vero lusso risiederà, forse, proprio nell’imperfezione profondamente umana.
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